WHO are you. The 60th anniversario

La mostra è suddivisa in tre sezioni tematiche.
La prima area espositiva è AMAZING JOURNEY ovvero un viaggio sorprendente tra le opere artistiche a tema THE WHO. Ogni opera esposta riflette sull’immaginario della band, reinterpretandolo attraverso lo sguardo attento e la partecipazione degli artisti Elena Assi, Francesco Biondo, Alessandro Busci, Matteo Ceschi, Monica Cristaldi, Sergio D’Antonio, Alberto De Lazzari, Cinzia Fantozzi, Sara Forte, Jeanfilip, Lady Be, Maria Cristina Limido, Vincenzo Lo Sasso, Giorgio Melzi, Massimo Monteleone, Davide Paglia, Andrea Pisano, Adriano Pompa, Silvia Rastelli e Lucrezia Ruggieri.
La seconda sezione riguarda Quadrophenia, a cinquant’anni dall’uscita del disco, definita QUADROPHENIA 2023: NEW ADVENTURES FOR NEW JIMMYS dal fotografo Matteo Ceschi che racconta i luoghi narrati nella storia di Jimmy e dell’omonimo lungometraggio ripresi nel 2023, esattamente mezzo secolo dopo l’uscita dell’album. La sezione è integrata dal video THE REAL ME di Matteo Ceschi e Federico Ramponi, con le musiche di Tiberio Longoni.
Infine, la mostra non poteva tralasciare l’aspetto dei memorabilia, qui raccolti nella sezione USELESS CORNER, un racconto fatto di oggetti, riviste, poster, libri, dischi, curiosità, per dare luce alla sezione del ricordo e del cimelio. Memorabilia è un termine che suggerisce come gli oggetti debbano e possano aiutare a ricordare non solo le personalità musicali, dello spettacolo, del cinema e pure della politica, ma anche gli eventi accaduti in un passato non così lontano. È un concetto che non rappresenta esclusivamente aspetti legati alla produzione, al commercio e al possesso di “cose” ma, soprattutto, la diffusione delle idee che questi oggetti portano con sé.
Anche se la memoria di un fan non sempre coincide con quella delle rockstar, tutti i musicisti continueranno a chiedere ai loro seguaci di ripensare ogni volta quale sia il loro ruolo definitivo visto che, come tutti, stanno invecchiando anche se non vorrebbero, anche una stella del rock come Pete Townshend che, a suo tempo, dichiarò che avrebbe preferito morire piuttosto che invecchiare. Con loro, invecchiamo anche noi perché gli Who sono la ribellione non ancora tenuta a freno a quest’età, un poster in una stanzetta, un vecchio disco rigato e consumato.

Presente in mostra anche il catalogo, a cura di Luciano Bolzoni e Matteo Ceschi, pubblicato da Almach Art Gallery.

I N F O U T I L I
DOVE |> Spazio Ex Fornace Gola, Alzaia Naviglio Pavese, 16 MILANO COME |> Ingresso gratuito
QUANDO |> 22-26 novembre 2023
Feriali: 10-12.30/14.30-19.00 – Festivi: 10.00-19.00
A CURA |> Luciano Bolzoni
EVENTO INAUGURALE |> 22 novembre 2023 h. 18.00

Ufficio stampa

“ARTICON Srls
Via Ajaccio 9, Milano info@articon.it | http://www.articon.it
Organizzazione e coordinamento generale”

ART MARGINEM CONCEPT ROOM Via Tobagi 13a, Milano
Adriano Pompa| contatto@adrianopompa.it | http://www.artimarginem.it
Allestimento
Progetto e grafica: Chiara Alberghina, Luciano Bolzoni, Monica Faccini

The Who: Non solo Musica

Era il 1971 e avevo 12 anni La mia vicina di pianerottolo è Luciana,19 anni, studentessa universitaria Quasi tutti i pomeriggi lei occupava la mia cameretta, portandosi dietro il suo mangiadischi e le riviste musicali dell’epoca, che sfogliava lentamente mentre ascoltando la musica muoveva il corpo, agitandosi al ritmo frenetico di quelle musiche che all’epoca erano
considerate originali e strane
La mamma di Luciana, una donna rigida, tradizionale, senza mai un sorriso che spuntasse dalle labbra, aveva impedito alla figlia di esercitare questa sua “insana” passione per la musica, così come quella di frequentare i capelloni e i compagni di scuola troppo politicizzati Lei, ovviamente, faceva tutto il contrario
In esilio pomeridiano nella mia cameretta aveva trovato non solo un rifugio, un’angolo di libertà ma anche un magazzino dove depositare dischi e manifesti, che regolarmente venivano appesi alle quattro pareti, tutto intorno al mio letto e a quello vicino della nonna, in uno spazio, fortunatamente, abbastanza grande e che oggi potremmo definire “open space”
Luciana aveva trovato in me un fan compiaciuto dalla sua presenza, e il ragazzino a cui poteva trasmettere tutte quelle strane idee sulla cultura sessantottina votata alla ribellione contro il sistema delle merci e della società normalizzata, che ci proponeva un futuro da piccoli borghesi, chiusi in una fabbrica o in un ufficio a lavorare
Eravamo nell’ Ottobre del 1971, da poco rientrati a scuola dopo le lunghe vacanze estive
Proprio quella settimana, Ciao 2001, una storica rivista musicale rivolta a noi adolescenti, baby boomers nati nel periodo compreso tra il dopo guerra e il Miracolo economico, dedicava la copertina e un articolo, pubblicato nelle pagine interne, proprio ai mitici Who Non li avevo mai sentiti ne visti prima di allora
Qualche giorno dopo quello stampato in cartoncino leggero, con la foto che immortalava i quattro componenti della band, Roger Daltrey, Pete Townshend, John Entwistle, Keith Moon, non era più una copertina Luciana lo aveva ritagliato e appiccicato alla parete affianco al cuscino su cui appoggiavo la testa prima di dormire La parete era proprio come quella della stanza di Jimmy, protagonista del film Quadrophenia. Gli Who, insieme agli altri miti anglofoni, erano così entrati nel pantheon della nuova cultura musicale della My Generation, idolatrati e santificati al secondo piano del tempio di Via della Consolata 4 a Torino Come qualsiasi luogo di culto che si rispetti, questo particolare luogo sacro era doverosamente frequentato da nuovi adepti, invitati speciali, ospiti ossequiosi, compagni di scuola che desiderosi chiedevano di essere iniziati alla nuova cultura del decennio, a cui devotamente venivano presentate le icone e raccontate le agiografie delle Star che per sempre avrebbero costellato il firmamento degli Anni 70. Naturalmente, imparata la lezione dalla sacerdotessa Luciana, sarei stato investito del ruolo di divulgatore e rivelatore, ai miei coetanei, ancora sbarbatelli, delle agiografie, dei segreti, e delle storie peccaminose, che si celavano dietro ognuna di quelle colorate immagini appese al muro. Sino al 1979, anno in cui mi sono trasferito a Milano, quella copertina dedicata agli Who non si è mai mossa da lì dove l’aveva appiccicata Luciana, che nel frattempo si era laureata, e aveva cambiato casa Non l’avrei ma più rivista, ma di lei conservo ancora qualche suo 45 giri con il suo nome scritto sopra l’etichetta del disco. Ogni notte, per otto lunghi anni, disteso sul letto prima di dormire, bardato con la cuffia in testa ad ascoltare i brani musicali dal mangianastri, ho guardato l’immagine di quelle quattro figure con i capelli lunghi, vestiti in modo informale La foto che li raffigurava restava davanti ai miei occhi sino a pochi istanti prima di abbandonarmi al sonno e cascare profondamente nello stato Rem, e la rivedevo al mattino appena sveglio. Come sappiamo gli Who sono stati considerati i rappresentanti dei Mods, un movimento giovanile nato nei sobborghi londinesi Noi ragazzini amavamo imitarne il modo di vestire e anche una parte dei loro stile, calzando ai piedi le Polacchine e sostituendo l’ormai dissueto cappotto, con l’Eskimo verde, simbolo distintivo. dell’abbigliamento di una certa “Classe sociale” negli Anni 70. Li sentivamo vicini, molto di più di altri movimenti giovanili nati in quegli anni, forse perché rielaboravano i contenuti della cultura cinematografica e della moda italiana, cambiandone i significati e facendoli diventare qualcosa di innovativo e più adatto a soddisfare il nostro immaginario. Gli Who per me hanno rappresentato l’energia, la potenza, la consapevole violenza della musica che diventa gesto politico, atto estremo di una subcultura giovanile cosciente del suo ruolo nella società e della sua capacità di progettare il riscatto sociale proponendosi come soggetto della scena culturale
Ho provato grande ammirazione per il chitarrista degli Who per certe affinità di vedute che ho sempre condiviso nel tempo imparando a conoscere il suo modo di pensare e di operare nell’ambito artistico Un esempio di questa affinità che provo nei confronti di Pete Townshend è dato dalla sua abilità di esprimere con pochi slogan un idea, un messaggio, un racconto, e di saperlo comunicare con una straordinaria forza di coinvolgimento del pubblico. Mi piace anche come ha risolto la relazione tra la comunicazione di prodotti commerciale, l’invenzione musicale e quella di immagine.
È noto l’amore di Pete Townshend per i jingle degli spot pubblicitari e la sua capacità di inventarli in maniera ironica È con lo stesso atteggiamento da pubblicitario che nel 1973 di Pete Townshend scrive i testi e le musiche di Quadrophenia, la seconda opera rock della band dopo Tommy, che nel 1979 diventerà un film La pellicola è un vero e proprio tributo all’Eskimo ma soprattutto alla Lambretta e alla Vespa, scooter allora ambitissimi e protagonisti sempre in primo piano insieme all’attore Phil Daniels, personaggio principale del film nel ruolo di Jimmy.
C’è poi una storia che credo pochi conoscono, ma che mi ha confermato Mogol, raccontandomi che quando con Lucio Battisti a Londra hanno incontrato Pete Townshend, questi ha ascoltato la loro canzone “Emozioni” e l’ha elogiata come “fantastica” Poi ha chiamato le segretarie e i giovani lavoranti della casa discografica facendogli sentire il brano, e celebrandolo come un esempio di capolavoro musicale. Certo, a questo punto dovrei forse parlare dell’influenza che ha avuto su di me, aspirante musicista, e sulle mie chitarre, lo stile distintivo di suonare di Pete Townshend, con l’uso di accordi potenti e movimenti di braccio energici Dovrei ricordare l’uso degli accordi di potenza come il power chord, spesso suonati con l’aggiunta di distorsione per creare un suono più duro e aggressivo Oppure rievocare l’utilizzo di accordi aperti e accordi con sesta sospesa, che hanno aggiunto un tocco armonico distintivo alle composizioni della band. Ma questa è un’altra storia perché gli Who per la My Generation non sono stati soltanto un fenomeno musicale, ma anche l’ispirazione ad un nuovo modello di vita”

Fortunato D’Amico

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